"Nello stato di veglia,sapere che sei è di per sé una sofferenza; ma,essendo impegnato in infinite attività, riesci a sopportarlo.
Questa qualità del senso dell’essere,la conoscenza ‘io sono’, non
tollera se stesso.
Non sopporta di stare da solo a percepire se stesso."
Nisargadatta
Maharaj
Queste parole hanno scavato un solco profondo dentro la mia
quotidianità.
Non riuscivo a tradurre in realtà, in azioni l’essenza di
queste frasi.
Poi ho cercato di spostare la mia “attenzione” da quello che
faccio a chi lo fa.
E’ come vedersi in un film dove tu sei l’attore principale e
sullo schermo scorrono le scene.
Ho provato a togliere quella emotività che mi impedisce di
interpretare quel ruolo in maniera ottimale.
Rimane l’entusiasmo ma ho tolto la paura di sbagliare “tanto
non sono io quello”.
Credo che in questo modo tutte le scene della mia vita posso
interpretarle al meglio delle mie possibilità senza preoccuparmi del futuro.
Così facendo, se tutto questo film va avanti fino al suo epilogo
che non conosco, ho la possibilità di rimanere tranquillo senza paure quando
“non recito”.
Posso starmene da parte e osservare gli altri che riempiono
la scena, tanto so che interverrò quando la mia presenza sarà richiesta.
Ma nelle pause c’è la serenità di stare fermo a guardare,
anzi è un piacere senza aspettare nulla in cambio.
Non c’è il desiderio di fare, la mente è quieta.
Stefano
Per capire quale sia il significato della presenza di ciascuno di noi nel suo mondo è sufficiente capire quale sia il ruolo di un ape nel suo alveare. E' però difficile che esso consista nello stare a guardare cosa fanno le altre api e intervenire solo quando le viene richiesto. Forse Maharaj nell'affermareche il senso dell'essere: Non sopporta di stare da solo a percepire se stesso." intende il proprio coinvolgimento nella vita quotidiana e sociale della propria comunità.
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